Il tema della liquidazione dei danni non patrimoniali ricollegabili complessivamente ai diritti ed agli interessi tutelati dall’art. 3 della Costituzione ha interessato e continua ad impegnare in complessi dibattiti i giudici, i giuristi e gli operatori del diritto.
Al riguardo, con quattro sentenze depositate l'11 novembre 2008, la Suprema Corte, Sezioni Unite Civili nn. 26972, 26973, 26974 e 26975, ha per così dire "codificato" il danno non patrimoniale risarcibile, confermando l'orientamento già ampliativo di questa categoria già espresso dalla Cassazione Civile nel 2003.
Nello specifico, le predette sentenze sono riferite a casi di responsabilità rispettivamente per erroneo intervento chirurgico (sentenza n. 26972/08), per incidenti stradali e connessi obblighi dell'assicuratore (n. 26973/08 e n. 26974/08) e per immissioni rumorose nella proprietà del confinante (n. 26975/08). Si consideri al riguardo che, nella motivazione delle quattro sentenze, v'è una parte uguale per tutte ove si motiva la decisione su una "questione di particolare importanza” concernente la liquidazione del danno non patrimoniale. Secondo i giudici della Cassazione, al danno biologico va riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva. Ciò risulta confermato anche dalla definizione contenuta nel d.lgs. n. 209/2005, recante il Codice delle Assicurazioni Private, suscettibile di essere adottata in via generale, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Nella nozione di danno non patrimoniale vanno quindi ricompresi i danni attinenti agli "aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato; sempre secondo tali sentenze al danno esistenziale non può essere riconosciuta dignità di autonoma sottocategoria del danno non patrimoniale. Il danno non patrimoniale è infatti categoria generale non suscettibile di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. Non può, dunque, farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità.
In sostanza, le richiamate sentenze di San Martino hanno affermato l’unitarietà del danno non patrimoniale, nel senso che lo stesso danno non può essere liquidato due volte solo perché chiamato con nomi diversi, ma anche che, quando l’illecito produce perdite non patrimoniali eterogenee, la liquidazione dell’una possa non assorbire tutte le altre.
Il principio consolidato seguito dalla giurisprudenza di legittimità mediante le succitate sentenze delle Sezioni Unite è pertanto ad oggi quello secondo il quale il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (tra cui, il danno esistenziale), tali da costituire vere e proprie duplicazioni risarcitorie.
Resta comunque fermo l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione.
In sede di quantificazione, pertanto, il giudice procederà alla personalizzazione nel ristoro del danno, delle diverse componenti non patrimoniali, delle quali pur deve tenersi conto per una corretta valutazione equitativa.
Sempre più chiare e definite, in conclusione, sembrano le linee per una corretta e precisa liquidazione integrale del danno non patrimoniale alla persona, ciò al fine di evitare il rischio di duplicazioni delle somme risarcibili, ma soprattutto per scongiurare, all’opposto, il rischio, dannoso per l’intera collettività, che si crei un “vuoto risarcitorio”.
Ciò posto, risulta altresì evidente, riguardata la questione dal punto di vista delle compagnie di assicurazione, che il danno cosiddetto “immateriale” debba essere oggettivamente quantificabile, altrimenti sarebbe pressoché impossibile procedere alla liquidazione in maniera congrua. Per la società assicuratrice che si trova infatti a valutare e a liquidare tale tipologia di danno occorrono criteri e principi cui potersi riferire proprio per evitare la carenza risarcitoria di cui sopra. Tali criteri e principi sono ricollegabili appunto alle decisioni ed ai principi giuridici affermati dalla Cassazione nelle sentenze del 2008.
Come evidenziato dalle richiamate sentenze della Cassazione, il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio, a prescindere dal nome attribuitogli. Pertanto, in tema di liquidazione del danno per la lesione d diritti immateriali, nei diversi aspetti o voci di cui tale unitaria categoria si compendia, l'applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, deve consentirne la maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento, anche attraverso la cd. personalizzazione del danno .
La Corte di Cassazione ritiene che, ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., possano essere un valido criterio di riferimento, le tabelle per la liquidazione del danno biologico elaborate dal Tribunale di Milano, laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze (che richiedano la relativa variazione in aumento o in diminuzione, anche per le lesioni derivanti dalla circolazione stradale), che abbiano determinato una percentuale di invalidità superiore al 10% . Per la Cassazione è dirimente in particolare il fatto che le "Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psicofisica" del Tribunale di Milano sono state rielaborate all'esito delle citate pronunzie delle Sezioni Unite del 2008. In particolare, esse hanno determinato il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente, procedendo ad un aumento dell'originario punto tabellare in modo da includervi la componente già qualificata in termini di “danno morale”, che si usava liquidare separatamente (nei sistemi tabellari antecedenti in particolare la pronuncia n. 26972/08).
L'affermazione delle Sezioni Unite secondo cui siffatta componente rientra nell'area del danno biologico, del quale, ogni sofferenza fisica o psichica per sua natura intrinseca costituisce componente, non può certo essere intesa nel senso che di essa non si debba tenere conto a fini risarcitori.
Esclusa, quindi, la praticabilità della liquidazione separata di danno biologico e danno morale, si deve pervenire ad una liquidazione unitaria che tenga conto anche di questa peculiare componente a connotazione soggettiva.
In attesa dunque che si compia l’auspicato intervento legislativo promosso con il ddl Concorrenza e volto ad unificare i riferimenti tabellari sul piano nazionale il criterio di unicità risarcitoria è obiettivamente il più affidabile.